mercoledì 3 ottobre 2012

Cogan

New Orleans, 2008. Mentre la sfida per le presidenziali tra Obama e McCain è nella sua fase più calda, con radio e televisioni impegnate a render conto del duello, due giovani delinquenti di mezza tacca - ma sicuri d'esser in gamba - rapinano una partita di poker pensando che la colpa ricadrà sul gestore, di già sospetto agli occhi della mafia. I capi di quest'ultima, per scoprire i colpevoli e far recuperare il denaro sottratto, scelgono di rivolgersi ad un assassino professionista, Jackie Cogan. Poiché una delle persone da eliminare lo conosce, il killer assolda a sua volta un collega, Mickey. Costui si rivela, però, schiavo dell'alcol e tormentato da problemi personali; talché il nostro decide, alla fine, di fare tutto da solo...

Non si può certo dire che il neozelandese Andrew Dominik sia un cineasta prolifico: tre film in dodici anni, il notevole "Chopper" (2000), il crepuscolare "L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford" (2007) e, ora, questo "Cogan" (2012). Pur in un numero così limitato di opere, il suo stile è riuscito a farsi strada, le sue peculiarità a imporsi: attenta caratterizzazione psicologica dei personaggi, narrazione piana intervallata da repentini attimi di ferocia, una forte propensione ad affrontare in modo critico il capitalismo ed i suoi meccanismi. Sono dette caratteristiche, probabilmente, ad aver spinto Pitt - qui protagonista - a dargli fiducia, sino al punto da coprodurre il film.

"Cogan" è tratto dall'omonimo romanzo scritto nel 1974 da George V.Higgins: "maestro di stile" secondo Elmore Leonard, "uno dei grandi innovatori del crime" per Scott Turow, egli ha esordito con il magistrale "Gli amici di Eddie Coyle" (1972), portato sul grande schermo l'anno dopo da Peter Yates. Per molti anni procuratore distrettuale prima d'intraprendere la carriera di scrittore, Higgins - nella trentina di romanzi e nelle due raccolte di racconti usciti a sua firma - ha esaminato con lucida precisione tecniche e linguaggio delle infrastrutture criminali, sovente inserendoli nel contesto di
un più ampio sistema di soprusi e malversazioni, dominato dalla bramosia del denaro.

La polemica anticapitalistica, che fa di "Cogan" un film marxista nei significati ultimi e brechtiano nell'esposizione ("che cos'è la rapina di una banca al confronto della fondazione di una banca?", si chiedeva il drammaturgo tedesco), corre lungo tutta la vicenda, per farsi esplicita nella conclusione (memorabile il monologo di Pitt contro Thomas Jefferson, ambiguo "padre della patria"). Merito di Dominik è quello di aver saputo inserire la sua invettiva politica - che sottolinea con amarezza il fallimento del nuovo sogno obamiano - in una solida struttura di "noir", con tanto di scene action
e survoltati momenti di violenza, conseguenti ad uno scenario di disincanto e dissoluzione etica.

Cast strepitoso, infine. Pitt guida le danze, disegnando la figura di Cogan con sfumature e sottotoni; Ray Liotta è abile a restar sospeso tra stupefazione e furbizia; Gandolfini, infine, rende memorabile il suo personaggio, impasto di dolore e volgarità, giocando pressoché da fermo, con mimica imbattibile.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

COGAN. REGIA: ANDREW DOMINIK. INTERPRETI: BRAD PITT, JAMES GANDOLFINI, RAY LIOTTA, RICHARD JENKINS, BEN MENDELSOHN. DISTRIBUZIONE: EAGLE. DURATA: 97 MINUTI.
                                                                                                                                                      

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