lunedì 17 febbraio 2014

12 anni schiavo

Saratoga Springs, Stato di New York, 1841. Solomon Northup, suonatore di violino, vive con la moglie e i due figli da uomo libero. Due finti impresari, facendogli balenare la promessa di un lavoro, un giorno lo fanno ubriacare e lo rapiscono. Il giorno dopo, trasportato oltre la MasonDixon, viene rivenduto come schiavo: un sistema abbastanza diffuso, al Sud, di procurarsi manodopera gratuita per gli immensi campi di cotone del luogo, dopo il divieto d'importazione di sventurati dall'Africa. E' l'inizio, per l'uomo, d'una dolorosa odissea durata 12 anni, nei quali al paternalismo del suo primo padrone segue il sadismo del secondo, che adopera punizioni corporali nel nome di Dio e frusta a sangue Patsey, la più attraente delle sue schiave, colpevole del peccato di suscitar in lui il desiderio. Solo dopo infinite vicissitudini, l'incontro con un abolizionista canadese consentirà al nostro di far ritorno a casa.

Basato sull'omonima autobiografia di Solomon Northup, pubblicata in settemila copie nel 1853 e poi ripescata dall'oblio nel 1968 per merito di due storici della Louisiana, "12 anni schiavo" è il terzo lungometraggio di Steve McQueen, videoartista inglese di origine caraibica. Il tema dell'incarcerazione attraversava le sue due precedenti pellicole, fisica in "Hunger" (2008), autoinflitta in "Shame" (2011): qui viene ripresa all'interno di una struttura assai tradizionale, sulla scorta di una sceneggiatura per la prima volta non sua (la firma lo scrittore John Ridley), con l'ambizione di raccontare una tra le pagine più vergognose della storia americana con lo sguardo d'un europeo. Compagno di viaggio gli è, ancora una volta, l'attore feticcio Michael Fassbender, ammirevole nel conferire complessità al personaggio di Edwin Epps, che altrimenti avrebbe potuto essere solamente una personificazione del male in assoluto.

L'argomento schiavitù, nel cinema americano, sinora è stato trattato nel segno della reticenza ipocrita ("Via col vento") o del melò ("Mandingo"), dello sceneggiato politicamente corretto ("Radici") o dell'epopea sarcastica ("Django Unchained"): nessuno aveva scelto di narrarlo in tutta la sua drammaticità, poco tacendo o attenuando. In questo senso, la sequenza in cui il protagonista sta appeso a lungo ad un albero con una corda e i piedi che sfiorano il suolo, nell'indifferenza dei suoi compagni di sciagura, ritrae al meglio un dramma insieme personale e collettivo; così la scena della fustigazione di Patsey è portata ai limiti della sostenibilità, perché s'imprima fortemente nella mente degli spettatori. Ha, insomma, non poche qualità, "12 anni schiavo": non quella, tuttavia, di una messinscena originale o di particolare rilievo. McQueen s'affida all'eloquenza dei fatti, gira come se nulla vi si dovesse aggiungere: con ciò evita ogni compiacimento estetizzante, però la sua riflessione sul corpo come mezzo estremo di resistenza non ha l'intensità ch'era propria di "Hunger", stemperandosi in una indifferenza manierata e un poco irritante. La prova di Chiwetel Ejiofor nei panni del protagonista e di Lupita Nyong'o in quelli della schiava tanto bella quanto sfortunata sono magnifiche, un Oscar le premierebbe con pieno merito.
                                                                                                                                    Francesco Troiano

12 ANNI SCHIAVO. REGIA: STEVE McQUEEN. INTERPRETI: CHIWETEL EJIOFOR, MICHAEL FASSBENDER, BENEDICT CUMBERBATCH, PAUL GIAMATTI, LUPITA NYONG'O, BRAD PITT. DISTRIBUZIONE: BIM. DURATA: 133 MINUTI.

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