mercoledì 10 dicembre 2014

Jimmy's Hall

Nel 1921, in un'Irlanda dilaniata da una sorta di guerra civile, Jimmy Gralton aveva creato nel suo paesino un locale in cui era possibile danzare, tirare di boxe, apprendere il disegno, partecipare ad altre attività culturali. Accusato di comunismo, era stato obbligato ad abbandonare il proprio paese per recarsi negli Stati Uniti. Due lustri più tardi, Jimmy decide di tornare, e sono i giovani a convincerlo a riaprire il locale. Gralton è inizialmente incerto sul da farsi; però, dopo poco, cede alle richieste. Coloro che in passato gli si erano contrapposti, tornano puntuali a contrastarlo. 

"Fare cinema implica una fatica fisica e non so se io ho ancora tutta l'energia necessaria. Prima di decidermi a girare questo film, pensavo che il mio precedente sarebbe stato l'ultimo. Per cui... Chissà!". Speriamo proprio che Loach receda dal proposito di ritirarsi dall'attività registica, dopo questa ultima fatica: il 78enne autore inglese appare in magnifica forma e - pensando ai ritmi di lavoro d'altri suoi coetanei, da Allen a Eastwood - c'è da augurarsi che la vitalità non lo abbandoni sin da ora. Certo che il percorso da lui compiuto è impressionante: dall'esordio nel lungometraggio con "Poor Cow" (1967), che ancora oggi colpisce per vigore ideologico e suggestione visiva, il suo cinema già nel '71 toccava un vertice con "Family Life" (1971), storia d'una ragazza dei sobborghi popolari affetta da schizofrenia,  narrata ispirandosi alle teorie di Ronald Laing. Dopo essersi dedicato per un lungo periodo alla forma del documentario, scontrandosi puntualmente con la censura del governo Thatcher, il nostro fa ritorno negli anni '90 al cinema di fiction, con una serie di splendide opere sempre legate alla realtà della sua patria: si va da "Riff Raff" (1991) a "Piovono pietre" (1993), da "Ladybird Ladybird" (1994) a "Terra e libertà" (1995), da "My name is Joe" (1998) a "Il vento che accarezza l'erba" (2006, Palma d'oro a Cannes), per citare solo i titoli più significativi.


In questo "Jimmy's Hall", torna a quell'Irlanda che aveva già messo al centro del suo interesse ne "Il vento che accarezza l'erba" e lo fa in modo del tutto peculiare. Perché i protagonisti di questa vicenda sono persone che difendono quello che si sarebbe potuto all'epoca definire un dancing. Scritto dal fidato cosceneggiatore abituale Paul Laverty, ispirato ad una pièce teatrale di Donal O'Kelly, il film racconta con sostanziale fedeltà la parabola del rivoluzionario James "Jimmy" Gralton: ma, sotto una scorza più "leggera" del consueto, è una specie di catalogo di temi e convincimenti del cineasta del Warwickshire. C'è un popolo, con la sua cultura e i suoi bisogni, in primis quel senso della socialità che altri vorrebbero irreggimentare (i fascisti, il potere, la Chiesa: i nemici di sempre): la motivazione di tale avversità risiede nel convincimento che la libera circolazione delle idee sia un pericolo, e vada perciò sempre ostacolata per conservare un comodo - per le classi dominanti, naturalmente - status quo. La maestria di Loach consiste nel non fare una pellicola ideologica o a tesi: pure la figura del protagonista è presentata con le sue fragilità e debolezze, laddove quella del sacerdote suo fiero oppositore mostra di comprendere perfettamente il valore etico del suo avversario, che arriva in privato a paragonare ai protomartiri cristiani. Lo scioglimento prevede la sconfitta di Jimmy, ma il finale è in qualche modo lieto: i giovani del luogo, al momento dell'espulsione, gli si fanno intorno, lo circondano d'affetto. Il seme del pensiero, se non della rivolta, è stato gettato: le rivoluzioni sono imperfette, è per questo che bisogna continuare a farle.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

JIMMY'S HALL. REGIA: KEN LOACH. INTERPRETI: BARRY WARD, SIMONE KIRBY, JIM NORTON, AISLING FRANCIOSI. DISTRIBUZIONE: BIM. DURATA: 109 MINUTI.

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