domenica 18 gennaio 2015

Il nome del figlio

Paolo, estroverso e cialtrone agente immobiliare di successo, si reca assieme alla moglie Simona, autrice di un best-seller licenzioso, ad una cena nella casa di Betta e Sandro. La prima è la sorella di Marco, ed ambedue sono rampolli di una famiglia di sinistra ed assai benestante. Paolo, professore universitario in virtù dell'aiuto dell'influente suocero, disprezza il cognato, che vota a destra e sbandiera con sicumera la propria ignoranza. Betta insegna alle superiori, si sacrifica per tutti da sempre, pare stanca e invecchiata. Infine c'è Claudio, eccentrico musicista e storico amico di famiglia. La serata si presenta similare a tante altre, ma Simona ha un bimbo in arrivo e Paolo annuncia che lo chiamerà Benito, in omaggio - lui dice - ad un personaggio di Melville...

Se la trama non v'è nuova, siete nel giusto. E' quella di "Cena tra amici" (2012), che i registi Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte hanno tratto da una loro pièce di speciale successo in patria: una sorta di variazione sui temi del teatro boulevardier degli equivoci, rispettosa dell'unità di tempo e luogo. La Archibugi ha deciso, dopo qualche riluttanza, di accettar di tornarci sopra un poco per interrompere il lungo silenzio professionale (l'ultimo suo film, "Questioni di cuore", risale al 2009), un poco al fine di contrastare una strisciante depressione che rischiava d'attanagliarla. Ha proceduto, la cineasta romana, nel miglior modo possibile: conservando la struttura del palcoscenico e lavorando sulla sceneggiatura di fino, a quattro mani con Francesco Piccolo. Ne ha cavato, in tal modo, un'opera personale, imparentata alla lontana con quella d'oltralpe, ma ben superiore nell'approfondimento dei caratteri e nella scioltezza del meccanismo narrativo.

E' ovvio che le ambizioni sue son quelle - pel tramite dei litigi e le rappacificazioni dei presenti, nel loro alternarsi di odio e amore degli uni per gli altri - di riprodurre in filigrana un ritratto del paese, dello stato delle cose. Ma questo ci pare l'aspetto più caduco dell'opera, che trova invece i propri atout nella vitalità che la percorre per intiero - la scena di gioiosa empatia che tutti affratella, sulle note di "Telefonami fra vent'anni" di Lucio Dalla, ne è l'esempio più pregnante - e in una magistrale direzione degli attori, mai visti tanto in palla. In particolare, Alessandro Gassmann ha la ghignante prosopopea di certi personaggi paterni, con l'aggiunta però di corrosivi elementi suoi; Papaleo, parso usurato in talune recenti prove, è un miracolo di misura e sottigliezza; finanche la Ramazzotti, che poteva andare sopra le righe, è guidata a meraviglia ad un esito convincente. Semmai, quel che difetta per fare de "Il nome del figlio" un erede degno della migliore commedia italiana, è la cattiveria propria di un Risi o, meglio, d'un Pietrangeli: qui, ciascuno si ama smisuratamente e si specchia, compiaciuto, finanche in mancanza di superfici riflettenti; e l'embrassons-nous finale suona a conferma. Poco male, il risultato è di prim'ordine, tuttavia un'ombra  di ferocia - insistiamo - avrebbe reso il tutto degno di memoria, invece che soltanto assai apprezzabile.
                                                                                                                                    Francesco Troiano

IL NOME DEL FIGLIO. REGIA: FRANCESCA ARCHIBUGI. INTERPRETI: ALESSANDRO GASSMANN, VALERIA GOLINO, LUIGI LO CASCIO, ROCCO PAPALEO, MICAELA RAMAZZOTTI. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 94 MINUTI.

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