giovedì 18 febbraio 2016

Fuocoammare

Samuele ha dodici anni e vive su un'isola di pochi abitanti, lontano dalla terraferma. Come tutti i bimbi della sua età, gioca e va a scuola. Tira con la fionda, costruita con rara meticolosità, su barattoli e fichi d'India. Ha un amico al quale insegna coma andare a caccia ed un compagno di scuola da cui impara a remare tra i natanti del porto vecchio. A Samuele, però, piacciono i giochi di terra, pure se tutto intorno a lui parla di mare; e di uomini, donne, bambini che cercano di attraversarlo, per raggiungere proprio il suo lembo di terra, di sassi e di rovi. Ma la sua non è un'isola uguale alle altre. Si chiama Lampedusa ed è il confine più simbolico d'Europa: il luogo dove si è concentrato, negli ultimi venti anni, il destino di centinaia di migliaia di migranti, in fuga da guerra e fame per assicurarsi una speranza di libertà...

Nato ad Asmara in Eritrea, di nazionalità italiana e statunitense, Gianfranco Rosi ha raggiunto una certa popolarità grazie al Leone d'Oro vinto a Venezia nel 2013 - presidente di giuria Bernardo Bertolucci - con "Sacro Gra": ambientato intorno alla più lunga autostrada urbana d'Italia, il film inanellava una serie di ritratti ora bizzarri ora ilari ora drammatici che il paesaggista Niccolò Bassetti aveva adoprato per un libro, dipoi aveva passato al regista. Non era, il premiato, il lavoro più riuscito di quest'ultimo, ma per certo è servito non poco a far scoprire l'opera d'uno tra i cineasti indigeni più originali ed atipici.  Dall'India di "Boatman" (1993), un viaggio lungo il Gange con la guida del barcaiolo Gopal, al deserto americano dei dropout del capitalismo ("Below Sea Level", 2008), sino al Messico degli assassini del narcotraffico ("El Sicario - Room 164", 2011, forse l'esito suo più sconvolgente), il metodo di Rosi si è andato consolidando, dipoi divenendo vero e proprio modus operandi: una full immersion nei luoghi e tra i personaggi che di volta in volta ha scelto di descrivere, con soggiorni che durano anni per avere di ogni cosa una visione meditata e oggettiva.

Non sfugge alla regola quest'ultimo "Fuocoammare", presentato - con grandi consensi della critica - in concorso all'ultimo festival di Berlino. Venti chilometri quadrati, settanta miglia dall'Africa e centoventi dalla Sicilia, in quattro lustri - come prima si accennava - Lampedusa ha veduto sbarcare ben 400mila migranti, 15mila dei quali han perso la vita in mare. Dopo esser rimasto sul luogo per dodici mesi, per quattro lunghe stagioni incluso l'interminabile inverno, Rosi ci racconta l'isola andando ben al di là dello sguardo parziale di telegiornali e cronache dell'emergenza: come il Salgado tanto bene indagato da Wim Wenders ne "Il sale della terra" (2014), egli lavora con cura e partecipazione, intesse potenti metafore (l'occhio pigro di Samuele pare voler alludere allo sguardo sfocato di un'Europa incapace di avvicinarsi al fenomeno migratorio, se non con l'ottica di un Fagin dickensiano che disserra o chiude le frontiere secondo i propri comodi). Tra le voci che ci dicono della realtà locale spicca quella del dottor Bartolo, direttore della Asl e figura chiave per l'accoglienza. Sono le sue parole serene e tuttavia partecipi, che si fermano giusto sul ciglio della commozione senza però celare le emozioni, il termometro più attendibile della situazione. E, al tempo medesimo, ci ricordano - come ammoniva Thomas Merton - che nessun uomo è un'isola e che nessun'isola, oggi, è simile a Lampedusa.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

FUOCOAMMARE. REGIA: GIANFRANCO ROSI. INTERPRETI: SAMUELE PUCCILLO, MATTIAS CUCINA, SAMUELE CARUANA, PIETRO BARTOLO, GIUSEPPE FRAGAPANE.
DISTRIBUZIONE: 01/ISTITUTO LUCE. DURATA: 108 MINUTI.


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