lunedì 16 maggio 2016

La pazza gioia

A Villa Biondi, comunità terapeutica immersa nella quiete e nel verde del paesaggio toscano, figurano tra le ospiti due donne che più differenti non potrebbero essere: Beatrice Morandini Valdirana è nata bene, viziata, esuberante, istrionica e possiede tutti i tratti della mitomane dalla loquela inarrestabile. Di contro, Donatella Morelli è una giovane madre dalle origini modeste, ferita a morte dalla vita, insicura e silenziosa, resa vieppiù fragile dal fatto che le è stato tolto il figlio per darlo in adozione. Impossibilitate a uscire, dato che entrambe sono divenute oggetto di sentenza da parte d'un tribunale e che debbono sottostare a una terapia di recupero, un giorno - profittando di un caso fortunato - riescono a sgusciare fuori dal reclusorio: ebbre della libertà agognata a lungo, s'impossessano di un'automobile e decidono di prendersi una vacanza...


Avevamo lasciato Paolo Virzì, tre anni fa, sprofondato tra le nebbie del Nord ove aveva ambientato "Il capitale umano": lo ritroviamo ora nella sua Toscana, tra Montecatini e la Versilia, alla direzione d'una commedia nei propri canoni, una sorta di road movie che incarna in due personaggi diversità di classe e di psicologie. Con la preziosa collaborazione di Francesca Archibugi alla scrittura, ne "La pazza gioia" il cineasta livornese mescola abilmente ironia, buonumore e dramma, com'è parte della tradizione della migliore commedia italiana. Si sa che egli non ama sentirsi definire l'ultimo erede di quella stagione del cinema nostrano: in un certo senso ha ragione, i pur grandi Risi e Monicelli non avevano il suo amore per i personaggi e mostravano un fondo di cinismo, che a Virzì non appartiene. Piuttosto, il riferimento calzante potrebbe essere a Pietrangeli, col quale condivide il talento per la descrizione di protagoniste femminili, l'interesse per le figure ai margini, lo spleen agrodolce. 


Picaresco e coinvolgente, elettrizzante e malinconico, "La pazza gioia" richiama già dal titolo e dalla ambientazione il suo film d'esordio, "La bella vita" (1994): al punto che al Seven Apples - la discoteca di Marina di Pietrasanta dov'è ambientata una scena tra le più dense - ci s'aspetterebbe di veder apparire Gerry Fumo, il cialtrone interpretato da Massimo Ghini. E c'è, poi, questa sorprendente capacità del nostro di descriver la Toscana come la West Coast, con le sue mitologie e la sua meschinità ("le ville nobili sono intorno a Lucca, la botanica intorno a Pistoia, le vacanze dei ricchi all'Argentario, le balere miserabili e licenziose a Lido di Camaiore, i tentativi di suicidio dai ponti sulla costa del Romito"): è tra le cose più riuscite della pellicola, l'interazione tra caratteri e sfondi. Dei due registri tra i quali la storia si muove, quello ironico trova in Valeria Bruni Tedeschi una strepitosa mediazione, la ricca invadente e logorroica in fuga dal proprio mondo (è lecito immaginare una qualche sottolineatura autobiografica); il versante drammatico è coperto da Micaela Ramazzotti con non inferiore bravura, ostacolata a volte da un di più di svolte narrative forzate: fino ad uno scioglimento nel quale, tuttavia, viene azzeccato il tono. Del citato Pietrangeli, non c'è la crudeltà di capolavori quali "La visita" (1963) e "Io la conoscevo bene" (1965): ma forse non serve, è così bella la commozione che scaturisce in sottofinale, con Donatella e Beatrice che scoprono d'esser fondamentali l'una per l'altra. Scalda il cuore; e non capita di frequente. 


                                                                                                                                     Francesco Troiano



LA PAZZA GIOIA. REGIA: PAOLO VIRZI'. INTERPRETI: VALERIA BRUNI TEDESCHI, MICAELA RAMAZZOTTI. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 116 MINUTI.

Nessun commento:

Posta un commento