sabato 13 agosto 2016

Il clan

Buenos Aires, 1982. I Puccio sono una famiglia borghese, all'apparenza come tante, nel quartiere borghese di San Isidro. Il capofamiglia è Arquimedes che, ritrovatosi disoccupato dopo la fine della guerra nelle isole Falkland, decide di cominciare a fare sequestri di persona: attorno a lui, una moglie e cinque figli in vari modi complici o testimoni dell'attività avviata dal padre. Il maggiore dei tre maschi, Maguila, ha tentato di sottrarsi alla criminosa impresa familiare andandosene in Nuova Zelanda, ma poi è tornato. Il più piccolo, Guillermo, esce di scena a metà storia, deciso a sfuggire a tanto orrore. Infine il figliolo di mezzo, Alejandro, star del rugby e giocatore nella nazionale argentina, partecipa egli pure - con qualche riluttanza e molti tormenti interiori - alle gesta dei Puccio. Quanto alle donne, la mamma e le due figlie, fan finta di niente e ignorano le urla che giungono dal seminterrato. Talvolta, i rapiti vengono uccisi. La giustizia non interviene, essendo il regime militare connivente e anzi pronto ad assicurare protezione. Alla fine della dittatura, le cose mutano e Arquimedes - che insiste a commetter nequizie, applicando la redditizia pratica ai giovani ricchi del suo vicinato, sia per conto terzi sia per guadagno personale - è arrestato: in breve, i Puccio capitolano e si disperdono, tra carceri e latitanza. 


"Quanto potrà mai durare la democrazia in questo paese?" Al massimo un paio d'anni e si torna indietro". È questo il pensiero che circola nelle classi alte, subito dopo la caduta di una tra le più feroci dittature del dopoguerra, quella di Videla. Non è così che andrà; e su questa scommesa, "Il clan" verrà sconfitto, insieme alla parte più parassitaria e oscena del paese. Pablo Trapero, che in vari suoi lavori precedenti - da "Mondo gru" (1999) a "7 days in Havana" (2011) - era riuscito a mettere in scena il dramma abilmente evitando la retorica, pareva il regista più adeguato a mettere in scena questa vicenda cupa e sinistra, rigorosamente vera. Il nostro si è mosso concentrando l'attenzione sul capo, Arquimedes - fatto interpretare da Guillermo Francella, volto noto della tv argentina per ruoli in gran parte leggeri, quando non di comico vero e proprio - e su Alejandro, il figlio rugbista del patriarca, diviso tra obbedienza cieca e crisi di coscienza.



Vincitore del Leone d'argento all'ultima mostra di Venezia, "Il clan" non è tuttavia il film che ci si poteva aspettare. Non è necessariamente una critica, intendiamoci: Trapero adatta il proprio stile alla maniera hollywoodiana - si pensi, per fare un titolo, a "Blow" (2001) di Ted Demme -  rinunciando a certe sue caratteristiche, in primo luogo un montaggio creativo e stordente. Forse preoccupato d'incupire troppo i toni della narrazione, usa la musica come alleggerimento (la colonna sonora, a principiar da "Just a Gigolo", è strepitosa) e non lesina stereotipi da biopic. Alla fine, un prodotto impeccabile sul versante commerciale, con interpretazioni di alto livello - la palma va al già citato Francela, che riesce a creare addirittura empatia con lo spettatore grazie al proprio charme recitativo - ed una regia fluida, a tratti trascinante. La cosa migliore è l'amara ironia che impregna il tutto, e l'assenza di ambiguità nel ritrarre i personaggi. In patria, il successo è stato enorme: nella filmografia di Trapero, si tratta di un'opera di transizione, che potrebbe portarlo a un destino d'anonimato al servizio dell'industria o, viceversa, vederlo fare ritorno alla sua più autentica natura di autore.

                                                                                                                                     Francesco Troiano


IL CLAN. REGIA: PABLO TRAPERO. INTERPRETI: GUILLERMO FRANCELLA, PETER LANZANI. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 110 MINUTI. 



Nessun commento:

Posta un commento