domenica 14 agosto 2016

La famiglia Fang


Pur vivendo, negli Stati Uniti, agli antipodi, Annie e suo fratello Baxter conducono vite parallele e sconnesse. La prima è un'attrice apparsa, nell'ultimo periodo, più sui rotocalchi che sul grande schermo; Baxter, invece, è uno scrittore in crisi creativa, finito in ospedale per un trauma cranico mentre era alle prese con un improbabile lavoro. A causa di quest'incidente, i due sono costretti a tornare a casa dai loro eccentrici genitori, Caleb e Camille Fang, per un periodo di convalescenza e riconciliazione. Assai stimati nel mondo dell'arte contemporanea, i Fang sono performer radicali e aggressivi dalle creazioni sorprendenti, inquietanti: i figli, sin dalla prima infanzia, hanno avuto un ruolo importante nelle opere provocatorie del babbo e della mamma. Cresciuti, così, con una grande quantità di stimoli, ma con un deficit di attenzione, sono divenuti adulti carenti di stabilità, in buona misura impreparati ad affrontare l'esistenza nel mondo reale. Giunti a casa, le cose si complicano ulteriormente: Caleb e Camille sono scomparsi, varie prove indicano che siano stati vittime d'un crimine, la polizia teme il peggio. Seppur convinta che si tratti dell'ennesima bizzarra "opera d'arte" creata dai parenti, Annie assieme al fratello comincia una ricerca che li porterà a scomode verità e, forse, anche a trovare una misura per se stessi.

Partendo dal romanzo di Kevin Wilson, adattato per il cinema dallo sceneggiatore David Lindsay-Abair, Jason Bateman ha firmato con "La famiglia Fang" una pellicola dalle molte suggestioni, di sicuro atipica per gli attuali canoni hollywoodiani. Il tono del libro era più ironico e leggero, un po' come nei romanzi di Daniel Handler e del suo alterego Lemony Snicket; Lindsay-Abaire, dovendo sfoltire gli eventi della narrazione, ha lasciato gli eventi principali incluse alcune performance dei Fang (la prima, però, è apocrifa), alterando in qualche modo l'equilibrio della pagina scritta, con un prevalere dei toni malinconici. Alla fine, il film è la descrizione del lungo, travagliato ed a volte peculiare percorso che tutti dobbiamo attraversare per mettere a fuoco la nostra identità.

Al suo secondo lavoro registico (l'esordio, due anni fa, fu il politicamente scorretto "Bad Words"), Bateman dà vita ad un'opera visivamente elegante, la cui suggestione è sottolineata da una bella colonna sonora - si va dal Beethoven meno inflazionato ai Beastie Boys, gli Yes e i Belle and Sebastien - e da un efficace montaggio. Alle prese con una famiglia disfunzionale, tra mancanze e affetti (tutti temi propri d'alcuni tra i cineasti indie più celebrati di oggi, da Wes Anderson a Noah Baumbach), egli se la cava egregiamente, conferendo al tutto un sapore di verità (gli avrà giovato il suo passato d'attore bambino, gestito dai genitori: probabilmente, avrà attinto ad alcuni ricordi per manifestare l’affetto ma, pure, lo smarrimento e l’insicurezza nei confronti dei loro equivalenti cinematografici). Nicole Kidman, che molto ha voluto questo progetto, non delude, ma non giova alla sua prova qualche rigidezza da star (il rifiuto di apparire nuda in una sequenza fondamentale per definire il suo personaggio, ad esempio); meglio Bateman, che però - come si diceva - era in qualche modo facilitato dall'esperienza personale. Strepitosi, infine, sia Christopher Walken sia Maryann Plunkett nelle vesti dei Fang senior. In particolare, Walken mescola cinismo ed egolatria - una persona naturale e strafottente, l'avrebbe definita Patroni Griffi - con uno charme e uno stile incomparabili. La sua tesi finale - che il compito di tutti i genitori è soltanto quello di danneggiare i propri rampolli - è un pugno nello stomaco; la risposta di questi ultimi, pacatamente, è che solo la morte (metaforica) di chi ci ha messo al mondo può farci camminare spediti, liberi. Rasserenati.
                                                                                                                            Francesco Troiano

LA FAMIGLIA FANG. REGIA: JASON BATEMAN. INTERPRETI: NICOLE KIDMAN, JASON BATEMAN, CHRISTOPHER WALKEN, MARYANN PLUNKETT. DISTRIBUZIONE: ADLER. DURATA: 107 MINUTI.











Un adattamento, si sa, è sempre un tradimento e in alcuni casi può perfino migliorare la fonte. In questo caso non accade, ed è un peccato. Jason Bateman fa un egregio lavoro col suo personaggio - a cui per far prima vengono risparmiate sia le sofferenze dell’essere sfigurato dal lancio fatale sia la bella storia d’amore che vive – e al suo secondo film da regista confeziona un’opera visivamente elegante, accompagnata da una colonna sonora che presenta un Beethoven meno inflazionato e in alcuni casi più allegro, con brani degli Yes, i Beastie Boys e i Belle and Sebastien. Nonostante questo, una storia del genere avrebbe meritato più spazio alle colorite performance dei Fang, mostrate spesso solo in frammenti, e uno stile meno controllato e dimesso. Il contrasto tra il passato e il presente non è a nostro avviso sufficientemente messo in luce dalla fotografia e dai costumi, e gli attori non sono abbastanza somiglianti alle loro versioni adulte (che nel libro hanno otto/nove anni meno dei protagonisti).
Nicole Kidman ricorre a una recitazione naturalistica, dimessa e sussurrata, onesta ma non sempre convincente. Il fatto è che lei è davvero una diva e dunque nella scena più “scandalosa” che coinvolge Annie (accanto a una storia lesbica omessa completamente) non fa quello che un’attrice meno star avrebbe potuto e dovuto fare: mostrare la propria nudità come il personaggio fa in in un momento non pruriginoso e narcisistico ma importante per comprenderlo e definirlo. Bateman convince di più, soprattutto se pensiamo al suo passato di attore bambino gestito dai genitori, che gli avrà reso sicuramente più facile attingere ad alcuni ricordi per manifestare l’affetto ma anche lo smarrimento e l’insicurezza nei confronti dei loro equivalenti cinematografici. I migliori ci sono sembrati proprio loro: Christopher Walken è indiscutibilmente perfetto nel ruolo del padre, ed è molto brava Maryann Plunkett in quello della moglie devota all’arte e al marito al punto da sacrificare i propri figli.
Non è importante sapere se quello che i Fang chiamano Arte lo sia davvero o se – come dibattono i critici del documentario all'interno del film – le loro non siano altro che esibizioni clownesche. Quel che conta è la gioia e la felicità che provano nel far accadere l'imprevisto portando scompiglio e movimento nelle vite proprie e altrui e la convizione di Caleb che tutti i genitori danneggino i figli. A noi per guarire non resta che ucciderli (metaforicamente), dimostrando la bontà delle nostre scelte e cercando a nostra volta di non imporle automaticamente a chi è diverso da noi e che non ci appartiene, anche se lo abbiamo creato.









Nessun commento:

Posta un commento