lunedì 13 febbraio 2017

Jackie

Jacqueline Kennedy aveva solo 34 anni quando suo marito venne eletto Presidente degli Usa. Elegante ed imperscrutabile, divenne immediatamente un'icona di stile in tutto il mondo: il suo gusto nella moda, negli arredi, nelle arti apparvero proverbiali e diventarono un modello da imitare. Poi, il 22 novembre 1963, durante un viaggio a Dallas tappa della campagna elettorale, John Fitzgerald Kennedy venne assassinato da uno - o più - sicari. Sotto choc ed affranta dal dolore, nel corso della settimana successiva la giovane vedova fu costretta ad affrontare momenti invero difficili: consolare i suoi due bimbi, lasciare la casa che aveva appena restaurato e pianificare le esequie di suo marito. Una cosa, tuttavia, ella ebbe subito chiarissima: quei giorni sarebbero stati decisivi per tratteggiare l'immagine e l'eredità storica del consorte ucciso, e di lei stessa nel futuro.

"Jacqueline Bouvier Kennedy Onassis fu una delle donne più riservate del mondo... La Jackie che pensiamo di conoscere è legata agli uomini che sposò. In abiti Oleg Cassini fu la moglie di JFK. O la sua vedova, colei che lanciò l'idea di Camelot come modo in cui lui e la Casa Bianca avrebbero dovuto essere ricordati". Così scrive William Kuhn, storico e biografo, in "Reading Jackie - Her Autobiography in Books", cercando di riassumere il mito e la figura d'una donna tra le più celebrate e discusse del Ventesimo secolo. La First Lady più narrata e fotografata di ogni epoca, tuttavia, non era mai stata rappresentata dal suo punto di vista. Sintetizzando la materia in un breve e ben definito periodo temporale, il cinesta cileno Pablo Larrain assieme al suo sceneggiatore Noah Oppenheim (premiato a Venezia per il suo lavoro), hanno chiamato Natalie Portman - capace d'una straordinaria performance - a cimentarsi, in maniera intensa e mimetica, col suo primo ruolo dentro un personaggio realmente esistito.

Per raccontarne la verità, Larrain ha dato vita ad un film storico-vestimentario, cercando l'identità reale dietro a quella fittizia, lungo i vestiboli e le camere della Casa Bianca, sotto la seta ed i tailleurs in crêpe, di fronte ai manichini inarticolati vestiti da Chanel. Un po' come capitava in "Neruda", il carattere di fiction di "Jackie" è fissato fino dalle prime sequenze, dove ella ricostruisce per un giornalista di "Life" tutte le sensazioni che l'hanno attraversata in quei giorni difficili e dolorosi della sua esistenza. La forma della narrazione è sempre assai attenta, dalle lente carrellate su una Jackie nel centro dell'inquadratura al contesto dello svolgersi degli eventi (si veda il momento dei funerali, messo in scena quasi fosse un capitolo di quella che sarebbe stata, dipoi, denominata "politica-spettacolo"). Solo in piccola parte intimidito dalla propria prima trasferta negli States e dai possibili rischi di una produzione internazionale, Larraín coniuga il potere dell'immaginazione di una donna con la propria propensione abituale per il paradosso, combina la ricostruzione storica con l'immagine di una rappresentazione privata delle stazioni d'un lutto. L'esito è forse meno incisivo e sorprendente di talune sue prove precedenti, da "Tony Manero" al già citato "Neruda", ma è comunque tale da superare di tanto gli standard hollywoodiani, nello stesso tempo adoprandone i canoni senza rinnegare gli stilemi del cinema d'autore.
                                                                                                       Francesco Troiano

JACKIE. REGIA: PABLO LARRAIN. INTERPRETI: NATALIE PORTMAN, BILLY CRUDUP, JOHN HURT, PETER SARSGAARD, GRETA GERWIG. DISTRIBUZIONE: LUCKY RED. DURATA: 99 MINUTI. 




mercoledì 8 febbraio 2017

150 milligrammi

Nell'ospedale universitario di Brest dove lavora, la pneumologa Iréne Frachon individua un collegamento diretto fra i decessi di alcuni suoi pazienti e l'assunzione del Mediator, in commercio da oltre un trentennio. Dopo aver sottoposto il proprio studio all' unità di ricerca interna della struttura, e verificato la fondatezza della propria tesi, decide di domandare all'Agenzia Francese del Farmaco di ritirarlo dal mercato. Ha inizio, così, una guerra fra il piccolo team bretone, il Ministero della Salute ed il colosso farmaceutico che lo commercializza... 

Ispirato a una vicenda realmente accaduta tra il 2009 e 2010, "La fille de Brest" - il titolo italiano è assai meno significativo - è una pellicola di quelle che una volta si facevano anche da noi (si pensi a "Bisturi la mafia bianca", diretto nel 1973 da Luigi Zampa) e, con ben altri mezzi, negli Usa (il superlativo "Insider", firmato nel 1999 da Michael Mann). Ora il tema della denuncia sembra avere assai meno presa; tanto più questa operina d'oltralpe si pone come un oggetto filmico interessante, volutamente fuori moda e pieno di generosa passione civile.

Tratto da un libro autobiografico delle medesima Frachon, il film di Emmanuelle Bercot - che, nella vita reale, voleva far giusto il medico - ricostruisce un caso che fece rumore nell'opinione pubblica francese. Il farmaco anoressizzante e antidiabetico, responsabile d'un enorme numero di decessi (tra i 500 ed i 2000, si stima) è, ovviamente, il pretesto per proporre nuovamente la sempre affascinante contrapposizione fra Davide e Golia: la lotta di chi combatte per il giusto, sia pur con mezzi limitatissimi, e l'arroganza smodata che contraddistingue i colossi del capitalismo. Più thriller che medical drama, "La fille de Brest" suscita indignazione nello spettatore ed empatia per le vittime: lo script, firmato dalla regista assieme a Séverine Bosschem, tiene la platea con il fiato sospeso e suscita delle salutari domande. Ma è il personaggio della Frachon - reso con bravura dall'attrice danese Sidse Babett Knudsen - ad essere il tramite perfetto per i fatti narrati: bizzarra, estrosa, esplosiva, la protagonista catalizza l'attenzione (sino al punto di soverchiare, a tratti, il lavoro d'investigazione paziente: un peccato veniale, comunque). In definitiva, un bell'esempio di cinema medio, che mai indulge al futile o al banale: merce ormai rara, di cui si avverte davvero la mancanza.
                                                                                                                               Francesco Troiano

150 MILLIGRAMMI. REGIA: EMMANUELLE BERCOT. INTERPRETI: SIDSE BABETT KNUDSEN, BENOIT MAGIMEL, CHARLOTTE LAEMEL. DISTRIBUZIONE: BIM. DURATA: 128 MINUTI.