mercoledì 12 aprile 2017

Le cose che verranno

Nathalie Chazeau, insegnante di filosofia in un liceo di Parigi, è sposata da cinque lustri con il collega Heinz, ha due figlioli ed una madre fragile, che necessita di continue attenzioni. Un tempo appassionata sostenitrice d'idee rivoluzionarie, ha convertito l'idealismo degli anni verdi "nell'ambizione più modesta d'insegnare ai giovani a pensare con la propria testa" e propone ai propri studenti testi che favoriscano il confronto e la discussione. La sua esistenza - che divide fra gli obblighi familiari ed un lavoro che ama - all'improvviso è travolta da una serie di eventi negativi: la mamma muore (lasciandole la gatta Pandora, alla quale è allergica, da accudire), la collana specializzata che curava per una casa editrice è soppressa, il marito le preferisce un'altra donna. Senza preavviso, Nathalie si trova da sola con tutto da ricostruire, potendosi basare sulla complicità intellettuale di un ex-studente e il pragmatismo che mai le è mancato...

Classe 1981, Mia Hansen-Love si conferma con questo "L'avenir" - il titolo italiano rende il senso, ma non la temperie - uno tra i maggiori talenti della sua generazione a livello internazionale. Già con l'opera d'esordio, "Tout est pardonné" (2007), s'era fatta notare alla Quinzane des Réalisateurs di Cannes. Il secondo film, "Il padre dei miei figli" (2009), sempre presentato nel contesto cannense, guadagnava il premio speciale della giuria nella sezione Un Certain Regard. Il 2011 è l'anno dello splendido "Un amore di gioventù", menzione speciale al Festival di Locarno. Nel 2014 in anteprima al Festival di Toronto viene presentato l'intenso "Eden". Ora, insignita dell'Orso d'Argento per la miglior regia alla Berlinale, la cineasta trova un prestigioso riconoscimento a suggellare la prima parte della sua carriera.

Nelle immagini incipitarie, Nathalie ed i suoi visitano la tomba di Chateaubriand sull'isolotto di Grand Bé, a 400 metri da Saint-Malo. E' una sorta d'indicazione metodologica: se è "Il perdente radicale" di Enzensberger il primo dei molti testi filosofici citati nel corso della narrazione, dei filosofi evocati - da Rousseau ad Adorno, da Schopenhauer a Horkheimer, da Aron a Jankélévitch - nello snodarsi della vicenda, non si deve pensare ad un gusto snobistico, ad una mera civetteria da intellettuali. Gli è che la cultura è individuata dalla protagonista come uno strumento di resistenza agli agguati del destino, allo scorrere implacabile dei giorni, ad una volgarità imperante cui non ci si rassegna. Non è che Nathalie nutra soverchie illusioni (anche se, quando il coniuge annuncia la volontà di rompere, non può evitare di dirsi: "Pensavo che mi avresti amata per sempre. Che cogliona!"), ma l'ottimismo della volontà certo la guida nel suo rapporto con gli studenti, l'approccio all'esistere resta positivo pur se le cose - la collana editoriale come il matrimonio - si sfarinano celatamente. In questa leggerezza di tocco nel gestire una materia ove ogni cosa succede sotto traccia, non grida non drammi, sta la maestria della Hansen-Love: capace di chiudere con un finale memorabile, in cui a Nathalie è dato d'abbracciare il piccolo erede che le ha donato la figlia, mentre all'ex-marito tocca tornare alla sua coazione al piacere senza soddisfazioni. Pur in un cast affiatato e di alto livello, giganteggia una Isabelle Huppert per la quale davvero non basta alcuna professione di stima: quando compare sullo schermo, la magia del cinema - puntuale - si realizza.

                                                                                                                                     Francesco Troiano

LE COSE CHE VERRANNO. REGIA: MIA HANSEN-LOVE. INTERPRETI: ISABELLE HUPPERT, ANDRE' MARCON, ROMAN KOLINKA, EDITH SCOB. DISTRIBUZIONE: SATINE FILM. DURATA: 100 MINUTI.

mercoledì 5 aprile 2017

L'altro volto della speranza

Khaled, rifugiato siriano scampato agli orrori di una guerra che ha sterminato quasi per intero la sua famiglia, giunge a Helsinki con l'intento di domandare asilo politico seguendo il regolare e legale iter burocratico; per, successivamente, mettersi alla ricerca - con l'appoggio delle autorità - della sorella Miriam, alla quale non è riuscito di passare il confine. Quando però il permesso di rimanere gli viene rifiutato, scappa e trova rifugio nel cortile di un piccolo ristorante (sito in uno sperduto quartiere della città), che è stato appena acquistato da tale Wikstrom. Costui, già rappresentante di camicie, ha lasciato moglie e lavoro per cambiare vita. Alla guida di un surreale, improbabile team di sala, la piccola brigata - alla quale anche Khaled  si è aggiunto - cerca di portar un po' di clientela a "La Pinta Dorada", magari trasformandola in un locale alla moda dove si serve sushi...

Orso d'argento per la regia all'ultima edizione del Festival di Berlino, "L'altro volto della speranza" è il pannello centrale del trittico "del porto", iniziato con "Miracolo a Le Havre" (2011) e destinato a concludersi con una "commedia felice". Il cinema di Kaurismaki, tanto poco prolifico quanto amato da una ristretta cerchia di aficionados, col tempo ha subito delle variazioni. Nei film del suo primo periodo, ogni tentazione poetica veniva ricondotta a terra da una società incombente sui destini di tutti: un mondo privo di luce che trovava conforto od annullamento nell'alcol, attraversato da ingiustizie sociali e contraddistinto da improvvise esplosioni di violenza. Dipoi, pur nel rispetto di una poetica di filiazione marxista, il nostro dà vita ad un processo di sublimazione della materia narrativa: quasi priva di dialoghi e di eventi clamorosi (e con un senso dell'assurdo tuttavia mai enfatizzato), ci viene sciorinata sotto agli occhi una realtà che pare al tempo medesimo vicina e lontana, quotidiana e surreale, disperata e tenera.

E' in questa seconda fase che il cineasta finlandese licenzia gli esiti più alti: "L'uomo senza passato" (2002), favola dolce e poetica che Aki - autore pure della sceneggiatura - trasforma in una travolgente riflessione sull'opportunità delle persone di "rinascere" a fronte delle violenze della società; "Le luci della sera"(2006), sconsolato ritratto di matrice chapliniana su un perdente deciso a non dar via la propria dignità di uomo, dato che solo quella gli resta; il già citato "Miracolo a Le Havre", in cui - evitando pacchiane bellurie estetiche - fa trionfare per una volta il sogno sulla disperazione. E' su quest'ultima scia tematica che si pone pure "L'altro volto della speranza": tra canzoni country e blues, sfila davanti alla cinepresa un'umanità bizzarra ed emarginata, per la quale la solidarietà è prassi prima ancora che valore. Con il consueto, magistrale uso del colore, in bilico tra surreale ed iperreale, il regista ci illustra l'Europa degli egoismi diffusi, descritta con la sua ironia stralunata, percorsa dalla sua morale eccentrica. Sequenze come l'incontro fra Khaled e Miriam, all'insegna di una commozione rattenuta dal pudore, o l'indimenticabile finale agrodolce che non vi sveliamo, dicono di una maestria registica che ha pochi eguali.

                                                                                                                                     Francesco Troiano

L'ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA. REGIA: AKI KAURISMAKI. INTERPRETI: SHERWAN HAJI, SAKARI KUOSMANEN. DISTRIBUZIONE: CINEMA. DURATA: 108 MINUTI.